La 25sima ora di Seymour Hoffman
Brooklyn, festa d’addio in discoteca per Monty. Ultima notte di libertà con gli amici di sempre prima dei sette anni di carcere.
Il professor Jacob, Philip Seymour Hoffman, sprofondato nei divani verdi davanti a Mary, la studentessa di cui è segretamente innamorato, decide che non può più aspettare, è arrivato il momento. La raggiunge in bagno, come in trance. Entra la guarda, la bacia. Lei come paralizzata non reagisce. Lui non regge la tensione, esce. Secondi interminabili, il tempo si ferma, le immagini di Jacob scorrono rallentate sotto il ritmo incessante del basso. Nel suo sguardo vacuo si legge l’angoscia, il senso di colpa, l’inadeguatezza, la paura. C’è già il rimpianto per aver provato a varcare i confini del lecito.
In un solo fotogramma de “la 25esima ora” di Spike Lee l’espressione perduta di PSH ci racconta un grande attore, l’attore che certamente ho amato di più in questi ultimi anni.
Straordinaria spalla non protagonista imprigionato nella sua fisicità ingombrante, imbarazzato e inadeguato quando non addirittura disgustoso e ripugnante come in “Happiness” o in “Onora il padre e la madre”. Perdente in “Synecdoche New York”.
Eppure sempre capace di portarci dalla sua parte, farci provare affetto e solidarietà.
Nel bellissimo film di Spike Lee che per la prima volta ritrae la New York lacerata del post 11 settembre, rimangono per me memorabili due sequenze.
Il fuck monologue in cui l’acredine vomitata da Monty davanti allo specchio mi è sempre suonata paradossalmente come una dichiarazione d’amore sconfinato per New York e la sua gente. E il viaggio immaginario con il padre che guida compassionevole il figlio attraverso un futuro impossibile, una fuga disperata sulle note di Terence Blanchard verso una vita che non potrà più essere.
Ma è ancora una volta straordinaria l’interpretazione di Seymour Hoffman. In disparte, fragile e perdente, sopraffatto dalla vita.
Quando è stata annunciata la sua morte per overdose ho sentito come un vuoto lasciato da una persona vicina e ho pensato al patrimonio di personaggi e interpretazioni che il suo suicidio ci ha sottratto. Che peccato.
Brooklyn, farewell disco party for Monty. His last free night with his life-long friends before his next seven years in jail.
Professor Jacob, Philip Seymour Hoffman, sprawled on the green sofas in front of Mary, the schoolgirl, he’s secretly fallen in love with. He decides he can’t wait anymore, the moment has come. He follows her into the bathroom as if in a trance. He comes in, looks at her and kisses her. She, as if paralysed, doesn’t react. He can’t take the tension and leaves. Endless seconds, time stops, Jacob’s images pass by in slow motion under the non-stop rhythm of the bass. In his empty eyes you can see the anguish, the feelings of guilt, the inadequacy, the fear. There’s already the regret to have tried to cross the limits of what’s allowed.
In just one frame of Spike Lee’s “25th Hour”, Philip Seymour Hoffman’s lost expression tells us what a great actor he was, the one I’ve certainly loved the most in recent years. Extraordinary supporting actor, trapped in his bulky body, embarrassed and inadequate when not downright disgusting and repulsive like in “Happiness” or in “Before the Devil Knows You're Dead”. A loser in "Synecdoche New York".
And yet always able to bring us on his side, make us feel affection and solidarity for him.
In Spike Lee’s beautiful movie which for the first time depicts the wounded NYC after sept. 11, I think there are two unforgettable sequences.
The “fuck monologue” in which the acrimony poured out by Monty in front of the mirror always sounded to me like a sort of immense declaration of love toward NYC and its people and the imaginary travel with the father who, full of compassion, is heading his son through an impossibile future, a desperate escape on Terence Blanchard’s notes of a life that can no longer be.
But once more, it’s extraordinary the performance by Seymour Hoffman. In the background, a fragile loser, overwhelmed by life.
When his death by overdose was announced I felt like the same void left by a close person and I’ve thought of the gallery of characters and interpretations that his “suicide” robbed us of. What a shame.