Post-cards

Eataly

Sulle ceneri del fu teatro Smeraldo risorge Eataly.
L’operazione commerciale (anche culturale?) di Oscar Farinetti e’ oggettivamente un successo planetario. Le sedi della catena alimentare, da New York a Tokyo, esportano la cucina made in Italy selezionando prodotti all’insegna della diffusione della qualità e della degustazione slow.
E di certo non e’ colpa sua se un teatro storico milanese chiude i battenti. Anzi, se vogliamo, ha il merito di aver regalato nuova vitalità alla piazza ormai definivamente consacrata alla attività enogastronomica.
Più discutibili le scelte architettoniche. Il logo Eataly campeggia enorme sulla facciata. Il grande affaccio vetrato inclinato parla il linguaggio degli anonimi centri commerciali dell’hinterland e in un attimo cancella il profilo austero dell’edificio disegnato da Alessandro Rimini nel’40. Entrati nell’ampio ingresso siamo subito costretti a muoverci controcorrente impallati dalla batteria di casse strette tra il corner di Vodafone e quello di Unicredit.
Il pavimento in resina grigia mal si accorda con le colonne rivestite in tessere verdi (una reminiscenza del vecchio teatro?). Dall’alto calano inaspettati, come lapidi alla memoria, manifesti in bianco e nero dei cantanti che hanno reso celebre lo Smeraldo: Celentano, Mina, David Bowie…peraltro ancora tutti vivi e vegeti e in ottima salute.
All’interno i piani del gigantesco food emporium si affacciano come le balconate del teatro sul vuoto dove galleggia sospeso il palco per i concerti (idea apprezzabile).
Nella grande piazza centrale bancarelle di frutta e verdura con tettoie a capanna a righe bianco rosse riproducono i banconi dei mercati rionali. Per il ristorante del pesce tessere grigie e lampade blu, per quello della carne lampade rosse. Per tutti invece anonimi seggioloni di plastica trasparente. Poi in ordine sparso finiture un po’ per tutti i gusti: pavimenti rustici in rovere, resine arancio, cemento, tavoli in legno, sedie multicolor.
La piadineria riproduce “simpaticamente” le cabine degli stabilimenti balneari romagnoli a strisce bianche e blu, la gelateria alpina e’ ovviamente tutta in legno grezzo. E la macelleria come altro avrebbe potuto essere rappresentata se non come riproduzione dell’archetipo della macelleria con il bancone in marmo sagomato bianco e grigio?
In sintesi Eataly veicola nel mondo il buon cibo italiano proponendosi come selezionatore della qualità dimenticandosi però, almeno nella capitale del design Milano (la sede di New York e’ decisamente più riuscita), di farsi portabandiera anche del made in Italy di qualità dell’architettura. Riducendo così la sua operazione ad una messa in scena di mere riproduzioni kitsch delle icone gastronomiche italiane ( la bancarella del mercato, la macelleria..). In un frullato misto di stili, materiali e colori senza alcuna cifra identificativa, senza mai compiere lo sforzo di una rilettura degli archetipi in chiave contemporanea.
Da parte mia con rassegnazione prendo atto che il teatro in cui ho assistito ai memorabili concerti di David Byrne e di Keith Jarrett si è’ ora reincarnato in un food mall kitsch in cui eventualmente posso mettermi in coda per provare il brivido di accaparrarmi la mozzarella Zizzona di Battipaglia.

 

On the ashes of Smeraldo Theatre, Eataly comes to light. Oscar Farinetti’s commercial operation (and cultural as well?) is objectively a global success. The Headquarters of the food chain, from NYC to Tokyo, exports the “Made in Italy” cuisine, selecting products in the direction of quality and the Slow Food movement.
It’s certainly not Farinetti’s fault that such an historical Milanese theatre shut down. If we want to be honest, he should be credited with giving a new vitality to the piazza where the theatre rose, now entirely devoted to food-and-wine activities.
Controversial on the contrary are the architectural choices. Eataly’s logo stands out on the facade. The vast inclined glass view speaks the language of anonymous shopping malls in the hinterland and instantly cancels the austere profile of the building designed by Alessandro Rimini in 1940. Walking into the wide entranced we’re immediately forced to move ourselves upstream against the rows of cashiers squeezed in between Vodafone and Unicredit corner stores.
The floor in grey resin doesn’t match the columns covered by green glass tiles (a vague memory of the old theatre?). Black and white posters of the singers who made the Smeraldo Theatre famous unexpectedly hang from above like commemorative stones: Celentano, Mina, Bowie… who are all still alive and kicking and in perfect health.
Inside, the floors of the huge food emporium overlook like theatre galleries onto an empty space where a suspended concert stage hangs (appreciable idea). In the large central piazza, fruit and vegetables stalls with red and white striped gabled roofs reproduce counters of local markets. For the seafood restaurant grey glass tiles and blue lamps, for the meat restaurant red lamps. Everybody gets anonymous transparent plastic infant seats. Then, in no particular order, finishing touches for all tastes: rustic oak floors, orange resins, cement, wooden tables, chairs multicolor.
The “piadineria” pleasantly reproduces the white and blue striped bathing-huts typical of Romagna beach resorts, the Alpine ice-cream parlour obviously in unfinished wood. And how else could the butcher shop have been represented if not other than the reproduction of the butcher shop archetype with grey and white checkered tile counters?
In summary, Eataly spreads the best italian food in the world, introducing itself as a “quality selector”, but forgetting, at least in Milan, the capital of design (NYC headquarter is decisively better), to be the standard bearer of the “Made in Italy” as far as architecture is concerned. It reduces his the whole operation to be a sort of kitsch mise-en-scene of italian gastronomic icons (the market stall, the butcher shop…). A mixture of styles, materials and colours that don’t show any unifying element, and with no effort to reread the archetypes in a contemporary key.
On my part, I note with resignation that the theatre where I attended unforgettable David Byrne and Keith Jarrett concerts is now reincarnated in a kitsch food mall where I hopefully get in line experience the thrill of grabbing mozzarella from Zizzona Battipaglia.