L’ aragosta arancio di Jeff Koons
L’ultima mostra che chiuderà i battenti dello storico Whitney Museum di New York, prima del passaggio del testimone alla nuova sede disegnata da Renzo Piano nel Meat District nel 2015 sarà un tributo a Jeff Koons. Il miglior interprete vivente della cultura pop USA occuperà per l’ultima volta il Whitney con il suo universo ipercolorato, luccicante e superfluo.
I prodotti di largo consumo diventano per Koons, come per gli artisti Pop, oggetto di attenzione e opere d’arte attraverso l’impiego di un linguaggio commerciale e pubblicitario che di fatto annulla il confine tra cultura alta e gusto kitsch popolare.
Nel mondo incantato e infantile, dolciastro al limite del nauseante di Koons gli animali gonfiabili da spiaggia, rassicuranti e disneyani, sono i protagonisti assoluti e rappresentano al meglio la sua poetica.
Non sono mai uscito indenne dal fascino perverso dei gonfiabili da mare appesi a grappoli all’ingresso degli stabilimenti balneari.
Nella hit parade popolare si posiziona al primo posto la superstar delfino, seguito a ruota da coccodrillo e tartaruga. Ma, se devo dire spassionatamente la mia, il vero fuoriclasse è l’aragosta. Intanto è arancione. E il colore fluo in acqua fa la differenza. Vuoi mettere l’effetto di una plastica arancio artificiale sulla superficie del mare rispetto al verde o al blu di un alligatore o di un delfino?
Del resto l’artista land art Christo non a caso aveva circondato i suoi atolli a Miami di polipropilene fucsia.
La “Lobster” di Koons in particolare è una citazione del telefono-aragosta di Dalí, le antenne ricordano i suoi celebri baffi. Ha una superficie lucida dalla tonalità rovente in fiamme giallo e oro, come un animale al rogo.
JK realizza i suoi gonfiabili in acciaio inox specchiante con una tecnica industriale sofisticata che riproduce le grinze e la leggerezza dei giocattoli in plastica. Ma i suoi pesano quintali. Questa tecnica, insieme all’alterazione della scala, produce un effetto di ambiguità e spaesamento che oscilla tra leggerezza e pesantezza, caducità e durevolezza, banalità e opera d’arte, creando una sorta di super souvenir-ossimoro.
Il primo coniglietto gonfiabile “Rabbit” è dell’86, i “Balloon Dogs” del ’94. Koons descrivendoli ci parla di feste, infanzia, colore, semplicità, gioia.
Il Balloon Dog, dice, è estremamente ottimista, e poi è come noi: pieno d’aria, sembra quasi respirare. Ma soprattutto le superfici sgargianti dei Balloons sono riflettenti! Questo significa inserirsi in contesti unici e diversissimi tra loro riflettendo l’ambiente circostante e noi stessi, creando un dialogo surreale e stridente con l’intorno. I lavori di Koons divengono site-specific a seconda della mostra. Come per Versailles anche i suoi lavori rimangono in equilibrio tra classico e barocco: sono simmetrici e lucidi ma barocchi nella volontà di liberarsi dal rigore assoluto. «Credo che Luigi XIV si sarebbe divertito molto con le mie sculture» dice Koons.
La contestualizzazione dell’arte è un tema dibattuto, a volte l’allestimento in contesti fortemente distonici risulta molto stimolante.
Nel caso di Donald Judd ad esempio, che ha sempre privilegiato le installazioni permanenti e attribuito grande importanza all’equilibrio tra oggetto e spazio, devo ammettere che i suoi “Stacks” (le ripetizioni di scatole d’acciaio), ambientate nello sfarzo di Palazzo Grassi mi avevano sbalordito. Lo stesso posso dire di Koons. Potente e fiabesco il Dog sui tetti di New York, magico e fluttuante sul Canal Grande a Venezia davanti a Palazzo Grassi. Addirittura struggente tra i riflessi barocchi dei saloni dorati a Versailles.
Divertimento e “riflessioni” ultra pop garantite, ma un po’ costose: l’ultimo Balloon e’ stato battuto a 58 milioni di euro.
The last exhibition which will close New York’s historic WhitneyMuseum doors, before the changeover to the new Headquarters designed by Renzo Piano in the Meat District in 2015, will be a tribute to Jeff Koons. The best living interpreter of american pop culture will occupy the Whitney for the last time with his hyper-painted, sparkling and superficial universe.
Consumer products become for Koons, as with many Pop artists, the object of attention and works of art through the use of a commercial and advertising language that effectively cancels the boundary between high culture and popular kitsch taste. In the enchanted and childish world, bitter sweet bordering on nauseating, Koons inflatable beach of animals, reassuring and disney-like, are the absolute center of attention and best represent his poetry.
I’ve never come out unscathed from the perverse fascination of the inflatable beach toys hung in clusters at the entry of beach resorts.
In the popular hit parade the superstar dolphin is positioned in first place, followed closely by the crocodile and the turtle. if I can give my dispassionate opinion the real champion is the lobster. First, it’s orange. Can you imagine the the effect of an artificial plastic orange on the sea surface compared to the green or blue of an alligator or dolphin?
After all, it’s not a coincidence that the land artist Christo wrapped his atolls in Miami in fuchsia polypropylene.
In particular, Koons’ “Lobster” is an homage to Dalì’s lobster phone, the antennas remind us of his famous moustache. It has a shiny surface with hot hues of yellow and gold flames, like an animal sent to the stake.
JK makes his inflatables using mirrored stainless steel with an industrial technique that reproduces the wrinkles and lightness of plastic toys. But his weigh a ton. This technique, together with the scale distortion, produces an effect of ambiguity and displacement that fluctuates between lightness and heaviness, transience and durability, garden variety and work of art, creating a sort of super souvenir-oxymoron.
The first inflatable bunny “Rabbit”, was made in 1986, the “Balloon Dogs” in 1994. Describing them Koons talks about parties, childhood, simplicity, joy.
“The Balloon Dog”, he says, is extremely optimistic, and it’s just like us: full of air, like it’s breathing. But above all, the Balloons’ gaudy surfaces are reflective! This means fitting into contexts that are unique and different from each other, reflecting the surroundings and ourselves and creating a creating a surreal and jarring dialogue with the surroundings. Koons's works become site-specific depending on the exhibit. Just like in Versailles, his works remain in balance between Classical and Baroque: they’re symmetrical and shiny but baroque in wanting to set themselves free absolute rigor. «I think that Louis XIV would have enjoyed a lot of my sculptures» says Koons.
The contextualization of art is a debated theme, sometimes the staging in deeply dystonic context can be very exciting.
In the case of Donald Judd, for example, who has always preferred permanent installations and given great importance to the balance between object and space, I have to acknowledge that his “Stacks” (the repetition of steel boxes), which took place in the splendour of Palazzo Grassi astonished me. I can say the same thing about Koons. Powerful and fairytale-like, the Dog on the roofs of New York, magic and floating on the Canal Grande in Venice in front of Palazzo Grassi. You could say even poignant between the baroque gilded salons of Versailles.
Amusing and ultra pop “reflections” guaranteed, but a little expensive: the last Balloon was auctioned off at 58 million euros.