Post-cards

La casa conformista

Tra tutti i cliché possibili delle tipologie di architetture d’interni il ruolo principe spetta certamente alla casa rustica. E’ difficile sfuggire al fascino irresistibile di questo evergreen: pavimento in cotto-mattone a vista-travi in legno. L’arredo, che accompagna fedelmente l’involucro, prevede portoni modanati con maniglioni in ferro dal sapore medievale, ingombranti sedie che circondano un altrettanto massiccio tavolo in legno e le inevitabili pentole in rame appese alle pareti.
La sindrome della casa rustica supercountry pare colpisca soprattutto gli abitanti dei centri urbani che trovano pace solo nella riproduzione artefatta del prototipo del casolare toscano.

La casa etno-chic nelle sue diverse interpretazioni, afro – provenzale – far east balinese (molto in voga), raccoglie comunque ottimi consensi.
L’inserimento del pezzo di matrice etnica, sia esso la testiera del letto, la tenda o la scultura, non è naturalmente biasimabile di per se’, ma più frequentemente la casa finisce per assumere i tratti inconfondibili del santuario thai, calato con orgoglio magari nel contesto anni ’60 di una ordinaria periferia cittadina.

Negli ultimi anni, a partire dal 2000, si fa largo con prepotenza la tipologia minimal-barocco.
Gli interni minimal, espressione di modernità spesso tradotta in spazi desolati e asettici, vengono contaminati dall’inserimento di oggetti preziosi, spesso lampadari barocchi piuttosto che ricchi tendaggi e broccati o sedie in stile Luigi XV. E’ espressione di un lusso ostentato che sembra dire : ” minimal e moderno vabbe’, ma non vorrei vi sfuggisse che sono anche ricco..”.
La rappresentazione dello status socio-economico passa inevitabilmente attraverso la mise en scène della casa.

La casa istituzionale-borghese segue un suo intramontabile schema: impianto preferibilmente simmetrico, citazioni classiche sparse qua’ è la’ (lesene, capitelli, fregi), tendaggi abbondanti e raccolti, gamma cromatica “alla frutta” tra il banana e il pesca, marmi nei bagni ( un must il travertino per lui e il rosa Portogallo per lei), cassettoni ’800 addobbati con massicce dosi di foto in cornici argento, sfoggio di ultimi ritrovati in fatto di tecnologia audio video.
Quando il regista Ferzan Ozpetek ha scelto come location per la dimora della cinica manager del suo “Cuore Sacro” la villa Casa a patio, progettata dal nostro studio, ha sentito la necessità di modificare gli arredi inserendo ampi divani classici, cassettoni e candelabri. Evidentemente la casa era sufficientemente algida e impattante ma non sufficientemente “status”.
Allo stesso modo Paolo Virzì, dopo aver visionato la nostra villa LA Modern come location per la dimora dell’altrettanto cinico manager de ” Il capitale umano”, ha preferito forse più saggiamente
scegliere una villa decisamente più istituzionale e borghese con tanto di scala neo barocca all’ingresso.

Denominatore comune delle diverse categorie descritte è la riproduzione di un surrogato.
Il copione prevede che ad ogni maschera corrisponda un preciso cliché. Il pubblico vuole sempre quello che già conosce. Alla radice, come sostiene Gillo Dorfles, c’è una volontà conscia o inconscia di mimetizzarsi con una tribù, una setta. Una forma di tribalismo conformista che maschera l’assenza di personalità. Il conformismo come morte dell’autenticità.

 

Among all the possible stereotypes concerning the various typologies of interior design, the rustic house is in pole position. It’s hard to escape the irresistible appeal of this evergreen: terracotta floors – exposed brick – wooden beams. The decor which faithfully accompanies the housing includes moulded doors with iron doorknobs in medieval iron, bulky chairs that surround an equally massive wooden table and the inevitable copper pots hanging on the walls. 

The syndrome of the super-country rustic house seems most of all to strike urban dwellers who only find peace in the the artificial reproduction of the Tuscan farmhouse prototype.

The Ethno-chic house in its different interpretations: Afro-Far East-Balinese (very fashionable) – Provençal/New Age (a controlled variation with a touch of modern minimalist content) gets public approval. Adding in the single piece of ethnicity,  whether it’s a headboard of a bed, window curtains or a sculpture, is not blameworthy in itself, but more often the house ends up assuming the unmistakable features of the thai shrine, proudly dropped into an ordinary urban setting, sometimes with a sixties context thrown in.
In recent years, since 2000, minimal-Baroque typology has made its way with vehemence. The minimalist interiors, an expression of modernity often translated into desolated and impersonal spaces, are contaminated by the inclusion of precious objects, such as Baroque chandeliers rather than rich curtains and brocades or chairs in the style of Louis XV. It’s an expression of a flamboyant luxury that seem to say: «Okay, minimalist and modern, but I don’t forget that I’m also rich…».The representation of the socio-economic status inevitably passes through the mise en scène of the house.
The institutional-bourgeois house follows its own timeless scheme: a structure preferably symmetrical, classic quotations scattered here and there (pilasters, capitals, friezes), heavy gathered drapes, chromatic “fruity” colors from banana to peach, marbled bathrooms (travertine for him and portugal pink for her), 18th century chest of drawers decorated with strong doses of photos in silver frames, a display of the latest discoveries in audio video technology.

 When movie director Ferzan Özpetek chose Villa “Casa a patio” projected by our studio as the house for the cynical manager of his film “Cuore Sacro” , he felt the need to change the furniture placing by including wide classic sofas, chests of drawers and candlesticks. Apparently the house was icy enough and impressive but didn’t comunicate “status” enough.

 Similarly Paolo Virzi, after viewing our villa “LA Modern” as the location for the home of the equally cynical manager of the film “Il capitale umano”, perhaps more wisely preferred to choose a villa decidedly more institutional and middle-class with a with a neo Baroque stairway in the entrance.

 The script expects that each mask corresponds to a defined cliché. The audience always wants what it’s already familiar with. At the root, as Dorfles claims, there is a conscious or unconscious desire to blend in with a tribe, a sect. A form of tribalism that masks the absence of conformist personality. Conformism as the death of authenticity.

 

 

“The super designer home risks in being not any less kitsch than the traditional one. Conformism of the anti-conformism can be sometimes more ridiculous and awkward than a normal and good-natured conformist because it presents a more snobbish connotation that the first didn’t have.” G.Dorfles